In questi giorni per via del nostro percorso universitario
ci stiamo applicando allo studio del marketing, e vorremmo provare ad
utilizzarlo per esaminare una cosa che ci sta parecchio a cuore, ovvero il
fenomeno del “manga italiano” e la sua ancor troppo scarsa diffusione. Certo capiamo
che un paio di esami non possono renderci degli illuminati del settore, ma almeno
speriamo possano aiutarci per mettere giù due idee non proprio del tutto
campate per aria.
Innanzitutto, una precisazione: usiamo il termine “manga
italiano” non per giappominkismo o tendenze, ma solo per distinguere le
produzioni “puriste” in stile nipponico da quelle ibride e via discorrendo,
sappiamo bene che in ogni caso si tratta sempre e solo di fumetto e non ci
azzarderemo mai ad usare una parola che davvero non ha alcun senso e che purtroppo
ha sempre più spazio nell’ambiente, ovvero “mangaka” al posto di “fumettista”.
Ed ora, la riflessione vera e propria: citando gli studi di
marketing ed evitando gli inutili buonismi, lo stato delle produzioni di manga
italiane vessa in una situazione di “efficienza ma non efficacia”, ovvero, i
manga si fanno ed anche bene, ma non producono certo quello che dovrebbero, e
rimangono la nicchia (così come le light novel, che cito solo qui per
risparmiare tempo –N.d.A.).
In questi anni alcune case editrici si sono attivate per
cercare di riunire le opere dei puristi sotto vere etichette e cercare di
dargli maggiore diffusione, con ben magri risultati. Eppure non è che i fumetti
non vendono, le opere “altre” esistono e fanno anche cifre non da poco, cos'è
allora che blocca il lavoro dei disegnatori manga italiani dallo spiccare?
Un punto enorme è di sicuro il confronto con le opere
nipponiche. I tankobon hanno molte più pagine, un prezzo ridotto e delle uscite
(in media) non eccessivamente distanziate, di un mese/tre per ogni numero. Il
volume di un manga italiano rasenta di solito le 100 pagine, ha un prezzo di
almeno il doppio di un tankobon nipponico (che ricordiamo, contiene in media
170-220 pagine) e delle uscite ogni sei mesi/un anno per volume. Già questo è
uno scalino non indifferente tra i due tipi di produzioni, non che ovviamente
sia colpa dei poveri fumettisti italiani che lavorano da soli sulle loro opere
quando i professionisti asiatici si avvalgono di assistenti anche numerosi, ma
al lettore ciò importa relativamente, quello che conta è ciò che ha in mano, ed
i pro e contro precedentemente elencati.
(Vero che in Giappone le produzioni mensili escono anch’esse
ogni 6 mesi, ma a differenza nostra i lettori possono godere dei capitoli delle
varie storie su numerose riviste specializzate che qui in Italia hanno già
dimostrato di non attechire –N.d.A.-)
Un altro punto vede pubblicità e diffusione. Si sa che per
ora un solo manga è approdato sulla grande distribuzione ed è Somnia di Federica
di Meo, i suoi volumi sono messi tranquillamente in fumetteria in mezzo alle
opere giapponesi e la pubblicità delle uscite si può trovare stampata nelle
sottocoperte delle serie famose, cose che di certo hanno ampiamente giovato
alla sua distribuzione. Le altre opere, affidate a case editrici minori, vedono
numeri di stampa da autoproduzione, i volumi arrivano a fatica nelle fumetterie
ed eccetto la diffusione pubblicitaria affidata al web ed agli stessi autori
non c’è molto altro per permettere alle opere di essere conosciute. Non ci
vuole molto per capire che poca diffusione porta per forza di cose a poco
seguito e quindi poca speranza di migliorare la situazione di vendita.
Ed infine un terzo punto, che sono abbastanza sicuro mi
contesterete in molti, ed è la mancanza di merchandise e di serie anime. Ora
direte, “ma che diavolo c’entra?!” Beh, non è mistero che qui come in
moltissimi altri Paesi occidentali, le serie approdano a seguito della loro
trasposizione ad anime. Le persone scoprono della loro esistenza, vanno a
cercarne le scan online, al che seguono l’acquisto di gadget, cosplay ecc… e la
serie quando raggiunto un buon successo ed una buona richiesta viene acquistata
e tradotta, pronta per essere acquistata da suoi numerosi fan.
Ora dico, che l’animazione italiana sia una patacca si sa,
ma esiste, le Winx in primis ne sono la prova, tradotte tra le altre lingue
anche in giapponese. Se le due cose, manga italiani ed animazione, diventassero
più interdipendenti, sono sicuro che finalmente le produzioni italiane
avrebbero la botta di vita che gli serve per emergere davvero. Già vi vedo a storcere
il naso schifati, ma fidatevi, meglio la più scrausa delle animazioni in flash,
che il nulla totale.
Se il manga italiano continuerà su questa strada, non solo
non emergerà, ma probabilmente le poche coraggiose case editrici che stanno
cercando di puntarvi spariranno, facendolo regredire di nuovo nella sola
nicchia dell’autoproduzione. Ciò che avete letto l’ho scritto pensando sia da
autore che da lettore, serve una vera scossa, e deve essere data al più
presto.
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